<antirez>

antirez 648 days ago. 40462 views.
(English translation of this post: http://antirez.com/news/136)

Dopo due anni di lavoro, finalmente, Wohpe, il mio primo libro di fantascienza, ma anche il mio primo scritto di prosa di questa lunghezza, è uscito nelle librerie fisiche italiane, su Amazon, e negli altri store digitali. Lo trovate qui: https://www.amazon.it/Wohpe-Salvatore-Sanfilippo/dp/B09XT6J3WX

Dicevo: il primo scritto di questa lunghezza. Ma posso considerarmi del tutto nuovo alla scrittura? Ho scritto per vent’anni in questo blog e in quelli passati che ho tenuto nel corso del tempo, e molto spesso ho usato Facebook per scrivere brevi racconti, frutto di fantasie o basati su fatti reali. Oltre a ciò, ho scritto di cose tecniche, specialmente riguardo la programmazione, per un tempo altrettanto lungo, e sono stato un lettore di racconti e di romanzi per tutto il corso della mia vita. E allora perché scrivere Wohpe è stato anche imparare a scrivere da zero?

Nei primi mesi di scrittura del romanzo, ma anche prima, nei mesi precedenti, quando mi preparavo scrivendo lunghi racconti che poi avrei cestinato, mi è successo ciò che accade spesso a coloro che imparano a giocare a scacchi. Tanti seguono questo percorso: imparano le regole, e va bene, lo sappiamo che con quelle si fa poco; le regole permettono solo di muovere i pezzi in maniera legale. Ma poi, subito dopo, imparano dei rudimenti di tecnica e di strategia, magari studiando duramente per qualche settimana. Però quando sono alla scacchiera, se una mossa non è brutalmente peggiore o migliore di un’altra, tutte le mosse sembrano equivalenti. Il giocatore di scacchi poco abile, poco esperto, non ha un vero gusto per le mosse; non riesce a valutarle non solo per ciò che sono in termini assoluti, ma neanche secondo una sua propria idea. Il risultato è un gioco casuale. Solo più avanti, dopo molte ore di gioco, ella finalmente riuscirà a esprimere delle scelte che, a prescindere dal fatto siano esse giuste o sbagliate, hanno quantomeno una coerenza, sono state davvero pensate: voglio muovere il cavallo qui, per queste precise ragioni, e per tali ragioni preferisco questa mossa a tutte le altre possibili.

Così chi scrive ed è agli inizi, se una frase è buona, con certezza non lo sa (e per continuare col paragone di sopra, così come il gioco dello scacchista sarà casuale, la sua scrittura sarà casuale). Sposta una virgola, cambia una parola. Suona bene o male? Ha delle idee che si è formato scrivendo a scuola e poi scrivendo da adulto, ma queste idee lo assistono poco quando l’ambizione è quella di scrivere una prosa di livello letterario. L’autore alle prime armi non ha un suo stile, perché prima di non saper scrivere non sa ancora leggere: quando legge un libro che adora, raramente capisce esattamente *cosa* accade nella pagina di così convincente, e così anche quando rilegge se stesso, non sa se ha scritto bene o male. Leggi, se vuoi imparare a scrivere! Dicono tutti. Peccato non sia vero: bisogna prima di tutto scrivere per imparare a scrivere, così come bisogna fare dei cortometraggi per imparare a fare il regista, e guardare gli altri film non sarà sufficiente (anche se sarà certamente utile). E per imparare a scrivere, il tipo di lettura che serve davvero è la rilettura di alcuni libri che abbiamo scelti come modelli; quello sì che è utile: la rilettura per comprenderne le forme, fino in fondo. Ora questo semplice fatto, di aver capito quale sia il mio stile, e di saper finalmente leggere e avere un giudizio che emerge immediatamente quando ho tra le mani un’opera, è già un risarcimento più che sufficiente dei due anni di sforzi di scrittura nei quali mi sono profuso.

Ed è una vera fortuna che l’esperienza in sé sia stata di così grande valore, perché quello che molti nuovi autori non sanno è quanto violento possa essere il mercato editoriale mondiale, e quello italiano in particolare. In Italia un libro di fantascienza che ha un buon successo, edito da un piccolo o medio editore, vende 500 copie. Deve andare bene, per avere questi numeri. La gran parte dei libri vende meno di 100 copie. A noi informatici queste cifre fanno rabbrividire. Il più stupido programma che ho scritto ha avuto dieci volte più utenti. Mi spingerei a dire che il più stupido programma che ho scritto e che ho pubblicato con un minimo di energie, ha avuto dieci volte questi *lettori*, gente che ne hanno letto il codice sorgente per capire come funzionasse. Io sono stato, e per questo ringrazio non so bene chi, un programmatore di una certa notorietà, direte voi. Ciò che voglio dire va molto oltre la mia esperienza personale. Anche coloro che non sono conosciuti da nessuno e provano a fare, nella programmazione, una cosa mediamente interessante, appena ben descritta e documentata, e la mostrano un po’ in giro, ricevono un interesse enorme rispetto a quello che spetta agli autori di fiction. I motivi sono tanti e abbastanza ovvi, non vale neppure la pena di soffermarsi su di essi, dunque perché vi racconto queste cose? Per questo motivo:

Sono poche le attività, oltre alla letteratura, dove c’è lo stesso mostruoso scompenso tra le forze necessarie per produrre un’opera e la scarsa risposta del pubblico. Chi decide di dedicare molto tempo alla scrittura, deve conoscere questo fatto da subito. Io per fortuna sapevo già tutto, grazie ai miei amici scrittori; però lo stesso certe sfumature di questa irrilevanza finiscono per essere difficili da accettare.

E allora perché tutti scrivono? Sono straripanti le file di quelli che tentano la fortuna editoriale. Credo sia un meccanismo simile a quello che accade nell’IT, con tanti che provano a creare un nuovo linguaggio di programmazione: il fallimento è quasi certo, ma il tentativo stesso è una delle imprese più soddisfacenti alle quali dedicare le proprie migliori energie.

Ora sono a un bivio: potrei scrivere altra prosa, rimettermi a scrivere codice, o provare a tenere vive le due attività allo stesso tempo. Cosa farò non lo so ancora. Per ora, vediamo cosa succede con Wohpe, sia con la versione italiana che con la traduzione in inglese, a cui in questo momento una capace traduttrice sta lavorando. E su questa cosa delle traduzioni, eseguite col supporto dell’autore, e di quale esperienza significativa sia dal punto di vista filologico, magari vi parlerò qualche altra volta (io e Bridget parliamo l’inglese e l’italiano, ma siamo madrelingua lei di una e io dell’altra lingua, e ciò è molto interessante quando si collabora tra traduttore e autore). Chiudo il post dicendo a chi mi legge: se ne avete voglia, scrivete prosa! Io ora lo so per certo: non è un caso che la scrittura sia stata per centinaia di anni considerata l’arte più alta nella quale cimentarsi. Scrivendo si cercano delle cose, e se si insiste abbastanza si finisce per trovarle davvero.
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